domenica 7 novembre 2010

Il risveglio di Siddhartha - Parte I

(Traduzione dal francese a cura del Comitato Traduzioni Sangha Rime' Italia da Sur les traces de Siddharta, in UDAHO II,2) 

Sotto l'albero pippal (nome attribuito all'albero della bodhi), l'asceta Gotama focalizzò i suoi grandi poteri di concentrazione sull'osservazione profonda del suo corpo. Ciascuna delle sue cellule era come una goccia d'acqua nel flusso perpetuo della nascita, dell'esistenza e della morte. Egli non riuscì a trovare nulla, nel corpo, che fosse permanente o che contenesse un sè separato. Mescolata al fiume del corpo, vi era la corrente delle sensazioni, nella quale ciascuna sensazione era come una goccia d'acqua. Tutte le gocce si mescolavano in un processo di nascita, d'esistenza e di morte. Alcune sensazioni erano gradevoli, altre sgradevoli, altre ancora neutre. Tutte però erano impermanenti, apparendo e scomparendo come le cellule del corpo. Con l'ausilio della sua eccezionale concentrazione, Gotama esplorò il flusso delle percezioni che scorreva a fianco dei flussi del corpo e delle sensazioni. Le gocce di questo fiume di percezioni si urtavano l'un l'altra e si influenzavano nel corso del loro processo di apparizione, di conservazione e di scomparsa. Se le nostre percezioni sono fedeli, la realtà si rivela allora da sola con facilità. Al contrario, se sono false, la realtà resta occultata. Gli esseri vivono prigionieri di un'illimitata sofferenza, a causa delle loro percezioni erronee, credendo permanente ciò che è impermanente, dotato di sè ciò che ne è privo, immortale ciò'che nasce e muore, inseparabile ciò che può essere diviso.
Gotama diresse quindi la sua attenzione sugli stati mentali che sono all'origine delle sofferenze, la paura, l'ira, l'odio, l'arroganza, la gelosia, l'invidia e l'ignoranza. Utilizzò la coscienza totale, radiante in lui come un fulgido sole, per rischiarare la natura di tutti i sentimenti negativi e vide che la loro origine era radicata nell'ignoranza. Antitesi della Totale Consapevolezza, essi erano oscurità, assenza di luce. Intuì'che la chiave della liberazione dovesse consistere nello spezzare quest'ignoranza e nel penetrare in profondità l'essenza del reale, non attraverso l'intelletto, ma attraverso la sua esperienza diretta.

Nel passato, Siddhartha aveva utilizzato metodi differenti per vincere la paura, l'ira e l'avidità, i quali tuttavia non avevano portato frutto, in quanto non rappresentavano che tentativi di sopprimere i sentimenti e le emozioni. Egli comprese in quel momento che la ragione profonda del suo scacco era l'ignoranza e che, se fosse giunto a liberarsene, gli ostacoli mentali sarebbero scomparsi da soli, come ombre che si dissolvono di fronte al sole che sorge. Le visioni di Siddhartha erano la conseguenza della sua intensa concentrazione.

Sorrise e alzò gli occhi verso una foglia di pippal che si staccava sul fondo blu del cielo e s'agitava al vento come se intendesse fargli segno di qualcosa. Osservandola con attenzione, egli vi scorse chiaramente la presenza del sole e delle nuvole, in effetti, senza sole, calore e luce, quella foglia non avrebbe potuto esistere,questo è, perché quello è, quello è, perché questo è. Distinse anche, nella foglia, la presenza delle nuvole, senza nuvole non vi è pioggia, dunque nessuna foglia. Parimenti, in essa osservava la terra, il tempo, lo spazio e la mente, tutti quanti erano presenti nella foglia. La sua esistenza era un miracolo meraviglioso.

Anche se si ritiene abitualmente che le foglie nascano a primavera, Gotama si rese conto che esse preesistevano da lungo tempo: nella luce del sole, nelle nuvole, nell'albero e in lui stesso. Vedendo che la foglia non era mai nata, comprese che pure lui non era mai venuto all'esistenza. La foglia e lui stesso si erano semplicemente manifestati, nella loro forma attuale, in un tempo determinato, e se essi non erano mai nati, parimenti, non potevano morire. Grazie a tale visione, le idee di nascita e di morte, di apparizione e di scomparsa, svanirono. La vera natura della foglia e di se stesso si rivelarono spontaneamente. Poteè rendersi conto che, per interazione, l'esistenza di un fenomeno rendeva possibile quella di tutti gli altri. Una sola manifestazione conteneva tutte le altre. Tutte quante, in effetti, erano una sola.

La foglia e il suo corpo non erano che una cosa sola, non possedevano un sé separato e non esistevano indipendentemente dal resto dell'universo. Vedendo la natura interdipendente di tutti i fenomeni, Siddhartha ne realizzò altre si la vacuità, il fatto che tutte le cose sono prive di un sè isolato e separato. Comprese che la chiave della liberazione si trovava in questi due principi di interdipendenza e di non sè. Le nuvole scorrevano adesso nel cielo, formando una cortina bianca dietro il pippal diafano. A sera, avrebbero forse incontrato un fronte freddo e si sarebbero trasformate in pioggia. Le nuvole erano una manifestazione, e la pioggia un'altra, di un solo e medesimo fenomeno. Parimenti, le nuvole non erano mai nate e non sarebbero mai scomparse. Se fossero state capaci di comprendere questo, esse avrebbero cantato di gioia, divenendo pioggia battente sopra montagne e foreste.

Illuminando i fiumi del suo corpo, delle sue sensazioni, delle sue percezioni, delle sue formazioni mentali e della sua coscienza, Siddhartha comprese adesso che l'impermanenza e la vacuità di sè erano le condizioni sine qua non dell'esistenza e della vita, i principi senza i quali nulla poteva nascere nè svilupparsi. Se un chicco di riso non avesse posseduto un'esistenza mutevole e sprovvista di un sè personale, non avrebbe mai potuto svilupparsi e divenire una pianta di riso. Se le nuvole fossero state dotate di un sè proprio e immutabile, non avrebbero mai potuto divenire tali.

Così, egli pensò, accettare la vita significa accettare l'impermanenza e la vacuità'di sè. La radice della sofferenza sta nella credenza erronea della permanenza e dell'esistenza di un sè individuale, separato. Realizzando ciò, ognuno si sarebbe accorto che non vi è nè nascita, nè morte, nè creazione, nè distruzione, nè uno, nè molteplice, nè interiore, nè esteriore, nè grande, nè piccolo, nè puro, nè impuro. Queste non sono altro che false distinzioni, create dall'intelletto. Se un essere accede alla natura vuota di tutte le cose, potrà trascendere ogni barriera mentale e liberarsi dal ciclo della sofferenza.

Giorno e notte Gotama meditò sotto l'albero pippal, proiettando la luce della sua consapevolezza sul suo corpo, sulla sua mente e sull'universo intero. I suoi cinque amici l'avevano abbandonato e d'ora in poi la foresta, il fiume, gli uccelli e le migliaia di insetti che vivevano sulla terra e negli alberi, sarebbero stati i suoi soli compagni. Il grande albero pippal era il suo fratello spirituale, così come la stella della sera, che appariva allorché si sedeva a meditare sino a tarda notte.

Le ragazze del villaggio venivano a trovarlo tutti i pomeriggi. Un giorno, Sujata gli portò un dolce di riso, cotto con latte e miele. Svasti gli offri una bracciata d'erba kusa, fresca. Allorché la giovane contadina se ne andò Gotama ebbe l'intuizione che, quella notte, avrebbe conseguito il Risveglio. Aveva avuto, nel dormiveglia, numerosi ed insoliti sogni. In uno di essi si era veduto disteso di lato: le sue ginocchia toccavano l'Himalaya, la mano sinistra i fiumi del mare d'Oriente, la destra quelli d'Occidente. I suoi due piedi poggiavano sui bordi del mare del sud. In un altro sogno, un loto gigante si alzava dal suo ombelico, fino alle nuvole più alte. In un terzo, innumerevoli uccelli multicolori, provenienti da tutte le direzioni, volavano verso di lui. Tali segni annunciavano l'imminenza del Grande Risveglio.



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