giovedì 9 dicembre 2010

Il libro tibetano dei morti - Detlef-I. Lauf

Dottrine segrete e mondi trascendenti.

Questo non è un libro per animi pavidi. Chi lo ha letto e forse si è smarrito in esso si ritrova cambiato, o comunque scosso. E` stato esposto alle possenti onde della coscienza ed è stato profondamente agitato da esse. La stabilità del suo Io vacilla e la linea di demarcazione fra soggetto ed oggetto si cancella.
     L'abissale profondità del pensiero tibetano ha già turbato l'ultima generazione in Occidente; l'hanno turbata in particolare le strane visioni di A. David-Neel e la traduzione di W. Y. Evans Wentz di buona parte dei libri tibetani dei morti, molti dei quali incontreremo in questo volume. Poiché nessuno era in grado di controllarle, molte delle cosiddette ricerche tibetane erano ormai diventate un biglietto gratuito per le proiezioni della propria fantasia.
     L'importanza di questo libro è dovuta soprattutto al fatto che esso è un lavoro serio ed approfondito sotto il profilo scientifico (profondità che manca spesso ai rappresentati del mondo accademico); e risulta inoltre più coinvolgente delle considerazioni pseudo-occultistiche e talora fantasiose che spesso vengono spacciate sotto il nome di "Tibet".
     Al contrario di molti trattati popolari benché opinabili dal punto di vista scientifico (vedi "Shangri-La"), questo libro non sembra interessante, originale o esotico al primo impatto. Tuttavia, mano a mano che lo si legge, si ha sempre più l'impressione di venir introdotti a una visione della realtà che ci informa non solo sul Tibet ma anche su noi stessi, su aspetti sconosciuti del nostro Io, che ad un tratto non ci appare più tanto solido e sicuro.
     Questo libro ci insegna soprattutto che quella che abitualmente noi chiamiamo "realtà"  non è che una delle tante possibili realtà e non certo la più importante. Ognuno di noi possiede infatti il proprio mandala.
     Non è difficile trarre profitto da quest'opera, nonostante che il testo dei libri dei morti risulti astruso, perché Lauf, grazie alle sue enormi conoscenze e alle sue profonde meditazioni, ha fatto per noi gran parte del lavoro. Ecco un esempio di come un mondo tanto lontano dal nostro può venir aperto al punto da permetterci di capire valori del tutto nuovi.
     Data la ricchezza contenutistica del materiale, Lauf evita di condurre il lettore non-iniziato attraverso l'intricato labirinto dei dettagli. E` un vero sollievo constatare che l'occhio dell'autore è sempre diretto all'essenziale.
     Il prefattore, che ha pure discusso questi temi non moltissimi tibetologici, non ha mai incontrato un approccio ai testi tibetani altrettanto essenzializzato ed altrettanta capacità di coglierne il significato rapidamente e fino in fondo.
     Di conseguenza, la morte, di cui essi principalmente trattano, ci appare in una luce completamente diversa; anzi possiamo dire che ci appare completamente illuminata nel vero senso del termine; per cui la nostra attuale interpretazione medico-ateistico-nichilista della morte viene non solo messa in discussione ma addirittura demolita.
     Lauf ci fa capire come i Libri tibetani dei morti rappresentino un'opera di inestimabile valore. In essi tutto è sviluppato in modo magistrale, per cui il lettore acquista realmente una visione nuova delle cose. Sono testi di grande coerenza che insegnano cosa è la morte ma anche cosa è la vita.
     La presente opera, che inizia sviluppando soprattutto il lato metodico, offre poi un'entusiasmante descrizione di stati di coscienza di solito ignorati. Illustra ad esempio con grande vivezza l'esperienza postmortale dell'infinito. Lo spirito risulta essere l'essenza del vuoto dello spazio celeste, un vuoto dietro il quale si intravvede il "positivo".
     L'interessantissimo capitolo sulla psiche e la coscienza evidenzia l'universalità di molti concetti dei libri tibetani dei morti. I confronti con analoghi scritti di altre culture facilitano la comprensione di molte concezioni e vi si ravvisa l'analogia fra i modi di concepire la morte. Lauf formula assiomi di una fenomenologia comparata della psiche che nessuno aveva ancora mai formulato.
     Emergono idee dell'umanità antichissime. Troviamo sorprendenti paralleli nell'Occidente cristiano, per esempio nel concetto di "capacità di operare sull'anima dopo la morte" di Tommaso d'Aquino, che corrisponde in forte misura al "karma" indiano.
     Dato che i Libri tibetani dei morti sono strutturati su simboli archetipici, l'autore non trova naturalmente difficoltà a mettere in rapporto molti di questi simboli col materiale ereditario filogenetico di Freud e con gli archetipi di Jung. Anzi, a suo avviso le attuali teorie psicologiche trovano conferma in molte esperienze segnalate in Tibet, che trapelano spesso nell'umana esistenza come realtà intuita. Per il Lauf l'intera storia dello spirito è una prova del fatto che anima e coscienza sono molto di più della mera e transitoria corporeità.
     Particolarmente interessante è infine la sua constatazione che, siccome il mondo altro non è che coscienza (nell'altro del resto sarebbe accessibile a noi), esiste anche una coscienza di base, un magazzino di tutte le impressioni, una sorta di oceano che, agitato dal karma, lascia emergere sempre nuove impressioni. Avviene una contrazione, una riduzione al puro inconscio, in un'altra dimensione, prima che dalla potenza primordiale possa sorgere una nuova coscienza? Lauf giustamente non si addentra in speculazioni del genere perché potrebbero portare alla formazione di idee invece che di realtà. In ogni caso, già le teorie di un'esistenza trascendente, sono di per sé realtà psichica anche se la ragione tende a respingerle. La costruzione di mondi trascendenti è già una realtà di cui val la pena occuparsi.
     Concludendo si può dire che il contrasto fra morte e vita viene qui relativizzato come raramente è stato fatto in Occidente; lo hanno fatto solo grandi mistici, quale era per esempio Rilke, che ci dice che spesso gli angeli non sanno se si trovano tra i vivi o tra i morti.
     Ora, cosa succederebbe se quest'opera di Lauf venisse tradotta in tibetano? Che effetto farebbe sul piccolo gruppo degli stessi Tibetani, oggi purtroppo in via di estinzione? Per essa è prevedibile lo stesso successo che Daisetz T. Suzuki si riprometteva da una traduzione in giapponese della sua opera inglese sul buddhismo zen: gli irriducibili bonzi, sarebbero stati costretti a rivedere e a ripensare tutta la loro tradizione, a trasformare tutto il loro mero sapere in una viva visione della realtà del mondo.
     Oggi il Tibet, a causa del materialismo impostogli dalla Cina, che sta rinnegando anche il proprio passato e quindi anche i propri archetipi, o dall'India, ugualmente Occidentalizzata, si sta lentamente dissolvendo, sia come realtà geografica che come realtà antropologica.
     Tuttavia questo Tibet continua a vivere in noi, rimane in noi, inestirpabile, come una grande aspirazione all'eterno mistero, in un'epoca, povera come la nostra, segnata dall'assoluta mancanza di misteri e dalla smitizzazione. Lauf ci indica una via di redenzione che salva ciò che è essenziale e che non può essere perso. Il Tibet,  lo vediamo, sta entrando nel bar-do; noi però sappiamo che questo è solo uno stato transitorio e che nulla di ciò che è essenziale e vero va mai veramente perduto.



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